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Quanta energia consuma realmente un edificio è una domanda che dovremmo farci tutti. Nel Regno Unito, investitori istituzionali, proprietari e inquilini sono sempre più interessati alle prestazioni energetiche degli edifici “in condizioni reali”, in quanto sempre più spesso i consumi sono molto più alti rispetto alle stime di progetto.
Il fenomeno è talmente diffuso e preoccupante da essere stato battezzato “performance gap”, la distanza tra consumi di progetto e consumi reali. Per questa ragione, sempre più spesso vengono commissionati relazioni denominate Post Occupancy Evaluation, cioè studi di valutazione post abitativa per rilevare le reali prestazioni degli edifici occupati.
201 Bishopsgate è un edificio nella città di Londra composto da 12 piani per oltre 45.000 m². Ultimato nel 2009, insieme al suo compagno più famoso, la Broadgate Tower alta 165 metri, costituisce uno dei landmark più riconoscibili dell’area intorno alla stazione ferroviaria di Liverpool Street. I due edifici sono stati sviluppati congiuntamente dalla società British Land e dalla GIC, il fondo sovrano di Singapore e ospitano gli uffici di multinazionali del ramo finanziario e legale.
Recentemente ho avuto l’opportunità di assistere alla presentazione dei risultati della valutazione post-abitativa di questo edificio. La valutazione ha interessato principalmente gli spazi occupati dal cosiddetto “main tenant” (inquilino principale), un gestore di fondi di investimento.
Di seguito riporto i concetti più importanti emersi da questa accurata indagine durata oltre due anni volta a capire quanta energia consuma realmente un edificio.
La Cooperazione tra Proprietà e Inquilini è Essenziale
La costruzione dell’edificio (a cura della proprietà) e l’allestimento interno (a cura dell’inquilino) perseguono obiettivi diversi e senza una stretta collaborazione è impossibile pensare di bilanciare i diversi sistemi di controllo degli impianti (cosiddetti Building Energy Management Systems, BEMS).
Dave Worthington, il relatore dello studio, ha usato una metafora molto efficace:
“È come cercare di guidare un autobus in cui ogni passeggero ha il suo pedale del freno e dell’acceleratore”.
Nel caso specifico, raggiungere l’equilibrio tra efficienza energetica e flessibilità di controllo delle condizioni ambientali interne ha richiesto quasi tre anni.
Gli obiettivi di efficienza sono stati raggiunti solo ad edificio interamente occupato in quanto gli spazi vuoti influivano negativamente sul funzionamento ottimale degli impianti meccanici.
I Consumi Elettrici Sono Sempre Grandemente Sottostimati
I consumi elettrici riconducibili a computer, server e telecomunicazioni, misurati in condizioni operative reali sono risultati pari al 500% dei valori di progetto. Non solo, i consumi ITC (Information & Telecommunications Technology) rappresentano la metà di tutti i consumi elettrici dell’edificio. Questo perchè in realtà le dotazioni e la densità di dispositivi, apparecchiature per ufficio ecc. a disposizione di ciascun dipendente sono di gran lunga superiori ai valori di riferimento ipotizzati nel progetto.
Nel caso particolare di società finanziarie, poi, la distanza tra stima e uso reale è ancora maggiore, come si nota da un qualsiasi filmato di repertorio che mostra i trader letteralmente sovrastati da file e file di schermi di grandi dimensioni.
“Orario d’ufficio” è un Concetto che ha Perso di Significato
Una simile differenza tra consumo stimato e consumo reale si spiega anche con i poco realistici valori di riferimento utilizzati durante il progetto. I cosiddetti “benchmark”, infatti, si rifanno a condizioni di occupazione e utilizzo degli spazi ormai decisamente superate. Una società multinazionale lavora su molti fusi orari differenti e non di rado alcuni uffici sono occupati nell’arco di tutte le 24 ore.
Quanta Energia Consuma un Open Space? Più degli Uffici Singoli, ma il Consumo Pro-Capite è Inferiore
Le ultime ricerche indicano che in un giorno qualsiasi, in un ufficio a pianta aperta (cosiddetto open space) solo il 65% delle scrivanie è occupato.
Questo significa che molti spazi sono illuminati e riscaldati anche se alla scrivania non c’è nessuno. Di conseguenza gli open space, in media, consumano il doppio (per unità di area) rispetto agli uffici allestiti con pareti divisorie.
Tuttavia, gli uffici singoli hanno una densità di occupazione molto inferiore e quindi gli open space hanno un rapporto più favorevole di consumi pro capite.
La migrazione di Servizi IT verso il Cloud Consentirà Risparmi del 40-45%
Secondo la stima condotta dal main tenant, eliminare il data center consentirà riduzioni di energia dell’ordine del 40-45%. Questo risparmio potrà essere ottenuto grazie ad una combinazione di servizi IT hosted e all’introduzione su ciascuna scrivania di thin client, computer minimalisti studiati per eseguire applicazioni ospitate in rete.
Edifici di Questo Tipo si Scaldano da Soli, il Problema semmai è Raffreddarli
Le misure condotte sul clima interno ed esterno hanno rivelato che per la maggior parte dell’anno l’edificio si riscalda semplicemente grazie ai guadagni interni, grazie cioè al calore sviluppato da persone e apparecchiature presenti all’interno dell’edificio. Inoltre, lo studio ha dimostrato che per questo edificio non esiste correlazione tra irraggiamento solare e temperatura interna, risultato molto significativo per un edificio completamente vetrato. Questo comportamento desiderabile rivela che la facciata vetrata continua è stata protetta dall’irraggiamento diretto con adeguate schermature.
Il rovescio della medaglia, ovviamente, è che proprio a causa degli alti guadagni interni, gli impianti di raffrescamento sono in funzione anche quando la temperatura esterna scende sotto i 5 °C, con prevedibili effetti negativi sull’efficienza. In questi casi la strategia energeticamente più redditizia prevede di sfruttare l’aria esterna per operazioni di free cooling.
Se fossi interessato a capire quanta energia consuma realmente, ma anche in fase progettuale, il 201 Bishopsgate, tali dati sono liberamente consultabili sul sito CarbonBuzz, un’iniziativa congiunta del collegio reale degli architetti (RIBA) e degli ordini degli ingegneri impiantistici (CIBSA) creata appositamente per ridurre il performance gap nei consumi energetici degli edifici.
Si ringraziano British Land, Broadgate Estates, BCO-British Council for Offices e Henderson Global Investors.
A cura di Ing. Luca Cotta Ramusino
Ciao Andrea,
come sempre grazie per le info di qualità che diffondi. Riguardo al bilancio energetico in condizioni reali è un tema a cui stiamo lavorando da qualche tempo cercando di monitorare in condizioni di reale utilizzo le abitazioni (lavoriamo principalmente sul residenziale) in cui eseguiamo interventi di risanamento energetico. Attualmente abbiamo in corso due monitoraggi ed entro la fine dell’anno dovremmo attivarne altri due (uno su un edificio nuovo certificato CasaClima gold).
Il monitoraggio, oltre a verificare le scelte progettuali, sarà utile a chi vive l’edificio per ottimizzare/adattare il proprio “stile di vita” in una casa ad alta efficienza; anche questo un tema da non sottovalutare soprattutto quando si parla di energia.
Buona giornata a tutti
Gianpaolo
Lo scorso anno mi sono occupato della riqualificazione energetica di un edificio a Roma di sette piani adibito ad uffici. Grazie al notevole isolamento termico del suo involucro (pareti esterne, finestre, ponti termici) l’edificio poteva presentare il problema degli alti guadagni termici sopra tutto nelle stagioni intermedie.
Ho risolto il problema con una ventilazione meccanica controllata affidata a numerose unità a recupero con bypass. Il risultato, anche grazie ad un sistema VRV a recupero di calore è stato molto soddisfacente e i consumi reali, dopo 12 mesi di funzionamento sono in linea con le previsioni.
Ciao Andrea, buongiorno anche a te e buon ritorno al lavoro.
Io purtroppo sono ancora studente e non ho modo di avere delle conoscenze approfondite e particolari in merito, sono fermo al livello teorico.
Posso solo dirti che questo gap che tu hai evidenziato è ciò che contraddistingue qui da noi in Italia una certificazione da una diagnosi energetica. Penso di non averti detto nulla di nuovo, era solo per condividere con te questo pensiero!
Spero comunque di poter diventare al più presto un esperto in gestione energetica perché mi appassiona davvero lavorare su queste tematiche e magari condividere con te pensieri e idee più specialistiche e avanzate.
Ti auguro una buona giornata.
Ciao a presto!
Ho letto l’interessante articolo di Luca Cotta Ramusino, anche se alcune delle considerazioni in esso contenute sono abbastanza scontate. Poiché mi hai chiesto un commento ti rispondo subito.
Innanzitutto bisogna chiarire subito la diversità che c’è tra uffici e abitazioni. L’articolo evidenzia una differenza tra i consumi stimati e quelli effettivi, ma evidenzia altresì il fatto che il modello di simulazione dei consumi su cui è stata fatta la stima non è un modello affidabile, quindi ci dice che il confronto tra una situazione reale e una stimata male, è notevole, cosa che mi sembra ovvia e non oggetto di studio. Quindi prima cosa fare la stima secondo un modello affidabile e verificato.
I dati sui consumi dell’edificio per uffici a Bishopgate non sono estrapolabili per l’Italia. Le differenze climatiche sono troppo rilevanti. Ritengo che possa essere interessante stimare la differenza di consumo reale tra un edificio ad Alessandria e uno a Gorizia, ma questo confronto non può essere fatto con uno a Londra.
Gli uffici poi non sono le abitazioni. Parlando di abitazioni noto che si sente spesso dire che i consumi reali sono diversi da quelli indicati dal calcolo della ex L. 10 e successive modifiche che sono solo dei consumi teorici risultato di un calcolo basato su parametri fissi e generici anche se per zone. Intanto la simulazione deve essere dinamica se vogliamo migliorare l’attendibilità e poi per essere precisi dovremmo sapere che uso viene fatto dell’ immobile. L’indice di prestazione energetica infatti non ti da solo la quantità di energia necessaria per riscaldare, ma tiene conto dell’ACS, dei consumi elettrici, ecc. Ovviamente tutte queste cose variano a seconda di chi abita l’alloggio, e del tipo di vita che conduce. Il calcolo è solo una indicazione generica, teorica. Infatti è ovvio che per lo stesso appartamento avremo dei consumi reali molto diversi se è abitato da un single, che quando esce dal lavoro va in palestra 2 volte a settimana e poi altre 2 volte a fare un allenamento di calcetto, (e quindi si fa la doccia 4 volte a settimana fuori casa, cena qualche volta la sera, magari facendosi portare una cena ordinata fuori) accende il riscaldamento dalle 18 alle 23, nei weekend è spesso fuori, e il riscaldamento è spento, con una situazione in cui vi è una coppia di persone anziane, che escono poco, che cucinano sempre, che tendono ad avere freddo (statisticamente gli anziani tendono a sentire più facilmente freddo) e quindi accendono molto di più il riscaldamento ecc. Eppure l’appartamento è sempre lo stesso. La trasmittanza delle pareti è la stessa.
È quindi chiaro che il consumo effettivo non può essere calcolato indipendentemente da chi utilizza l’immobile, dal tipo di vita che conduce. Si può calcolare la prestazione energetica delle pareti e degli infissi, ma non il consumo reale. Pertanto è ovvio che il consumo reale sia diverso da quello stimato, nel primo caso è sovrastimato, nel secondo sottostimato.
Quindi quanto consumano effettivamente le abitazioni? La risposta è: a parità di prestazioni dei componenti edilizi dipende da chi le utilizza. Si può calcolare il consumo effettivo? Si possono stimare in modo abbastanza attendibile le prestazioni dei componenti edilizi, il consumo effettivo si calcola a posteriori, lo si può stimare tanto più accuratamente quanto accurata è la conoscenza delle abitudini di vita di chi ci abita.
Mi sembra un concetto abbastanza ovvio.
Il caso presentato è sicuramente interessante, ma la tipologia di fabbricato ed i tempi di impiego sono estremamente variabili e difficili da gestire.
Per quanto riguarda la mia esperienza in caso di edifici tradizionali con impianti termici a radiatori e impiego di tempo parziale dei locali, specificatamente scuole superiori, ho potuto appurare, su un campione abbastanza esteso (circa 250 fabbricati) che la relazione tra consumo stimato e consumo reale è buona se l’impiego dei locali supera le 12 ore ed è molto buona se supera le quattordici ore.
Per tempi di utilizzo inferiori il delta tra calcolato e reale sale rapidamente fino a discordanze superiori al 70% nel caso di impieghi di ore inferiori.
Ciao Andrea,
parecchie volte mi sono posto il problema tra il consumo energetico di progetto e quello reale, fenomeno chiamato “performance gap” o semplicemente “divario di prestazioni energetiche”.Il fatto è, a mio avviso, che i fattori sono molteplici per cui divulgarsi su questo argomento complesso per me è un po’ difficile.
Concludo, avendo ascoltato anche il parere di alcuni tecnici i quali affermano che:
“Nella realizzazione di un edificio di classe energetica “A” il consumo di energia effettivamente consumata è superiore di circa il 10% di quello calcolato, (considerando un immobile non abitato è mantenuto ad una temperatura interna costante, ad esempio di 20 °C. – come nel periodo invernale).
Ciao Arch. P. Pieromaldi,
Tu dici “I dati sui consumi dell’edificio […] non sono estrapolabili per l’Italia. Le differenze climatiche sono troppo rilevanti”.
Piccola precisazione, Londra l’anno scorso ha misurato circa 2200 gradi giorno per il riscaldamento, cioè quanto una Zona E italiana, vale a dire grossomodo tutta la pianura padana e l’Appennino.
Milano, per esempio, ha 2400+ GG “di progetto”. Tu hai fatto l’esempio di Alessandria (2.500+ GG) e Gorizia (2300+)… entrambe in Zona E.
Come vedi, le “differenze climatiche” tra Londra e tutti gli altri esempi sono inferiori al 15%.
Saluti,
L.