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Come essere competitivi nell’edilizia sostenibile? Se dovessi scegliere una sola caratteristica vincente per un professionista nel settore greenbuilding, non avrei dubbi nel rispondere “essere globalmente aggiornati”.
Il mercato greenbuilding è per sua natura internazionale e passa attraverso i protocolli di certificazione ambientale degli edifici. Committenti esteri desiderano realizzare edifici efficienti in Italia, e costruttori, studi e società di ingegneria vengono incaricati di fare altrettanto in Europa.
Il vero vantaggio competitivo per offrire un servizio di qualità, a mio parere, si gioca sulla conoscenza degli standard internazionali di certificazione ambientale degli edifici.
Scopo di questa serie di articoli è di introdurre prima, e approfondire poi, i maggiori protocolli greenbuilding utilizzati e richiesti in Europa.
Cominciamo parlando dei due “pesi massimi internazionali”, BREEAM e LEED.
BREEAM, Protocollo di Certificazione Ambientale Britannico
Questo standard di sostenibilità è nato nel Regno Unito nel 1990, creato dall’ente governativo Building Research Establishment (BRE). Secondo i dati pubblicati sul sito ufficiale, BREEAM è lo standard di certificazione di sostenibilità in edilizia più usato al mondo, potendo vantare oltre 16.000 progetti certificati in più di 50 paesi, per un totale, sempre secondo l’ente, di oltre 40 milioni di mq certificati, tra uffici, vendita al dettaglio, scuole, edifici industriali ed altro.
Oltre a rappresentare lo standard di riferimento per l’edilizia sostenibile nel Regno Unito, lo schema conta alcune “personalizzazioni” nazionali (Olanda, Spagna, Norvegia, Svezia e Germania) per adattare il sistema a punteggio a diverse zone climatiche.
Se l’edificio si trova nel Regno Unito, a seconda della sua tipologia e destinazione d’uso, può essere certificato secondo diversi schemi, più nello specifico:
- New Construction, lo schema più comune per le nuove edificazioni
- Refurbishment, dedicato alle ristrutturazioni importanti
- Communities, per progetti di costruzione multi-edificio, mira a certificare interi quartieri sostenibili
- In-use, è lo standard di certificazione della gestione in opera degli edifici.
Per gli edifici all’estero che non dispongono di un codice BREEAM nazionalizzato è sempre possibile certificare l’edificio secondo gli standard:
- Commercial Europe, nel caso di edifici adibiti ad ufficio
- International Bespoke, in tutti gli altri casi
- In-Use, se l’edificio è già occupato e si intende certificare la gestione in esercizio.
Come Accreditarsi Professionista BREEAM
La qualifica di BREEAM AP (Accredited Professional) è rilasciata dal BRE dopo aver completato con successo un percorso di formazione in tre parti.
Le prime due consistono in programmi di studio individuali, sia su libri di testo che tutorial online.
La terza parte consiste in un workshop di un giorno, seguito dall’esame di abilitazione. Il workshop e l’esame si svolgono nello stesso giorno ma solo presso la sede BRE di Watford (UK, a nord di Londra).
E’ anche possibile accreditarsi come assessor, cioè come specialista di un particolare protocollo BREEAM (ad esempio BREEAM New Construction, BREEAM In-use ecc.). In questo caso è necessario seguire un corso intensivo di tre giorni, con esame finale. I corsi si tengono generalmente alla sede BRE di Watford ma anche in altre sedi nel mondo. Il sito www.breeam.org riporta date e luogo dei prossimi corsi.
Certificazione degli Edifici Mediante il Protocollo BREEAM
Il Building Research Establishment (BRE) è l’unico organismo autorizzato ad emettere il certificato e può servirsi di ispettori/auditor nominati localmente che agiscono in nome e per conto del BRE.
LEED, Protocollo di Certificazione Ambientale Statunitense
LEED è la superstar dei protocolli di certificazione di sostenibilità degli edifici, vanta oltre 13000 edifici certificati in tutto il mondo, con centinaia di edifici certificati fuori dai confini USA, dall’Europa al sud America, dalla Cina al Golfo Persico.
In Italia è lo standard estero di certificazione più utilizzato e può vantare 25 edifici già certificati e oltre 100 in corso di certificazione.
Per sua stessa ammissione, LEED è lo standard in assoluto più “commerciale”, infatti, nell’esprimere la propria missione sul sito ufficiale Green Building Council, il protocollo LEED si definisce “market-driven”, più chiaro di così.
Il protocollo LEED è suddiviso in diversi Rating Systems, ciascuno studiato specificamente per certificare diverse tipologie di edifici, come ad esempio:
- LEED-NC, Nuove Costruzioni e ristrutturazioni importanti, l’unico rating system disponibile anche in italiano, perché tradotto ed adattato dal Green Building Council Italia
- Core & Shell, LEED-CS, dedicato agli edifici consegnati in pianta-tipo, senza le finiture e i setti di partizioni interni. È questo il caso più comune per edifici adibiti ad uffici ed occupati da più inquilini, ognuno dei quali provvede autonomamente all’allestimento e all’arredamento interno
- Commercial Interiors, LEED-CI, rappresenta la controparte di LEED-CS, cioè il sistema per certificare il fitout o allestimento di una porzione di edificio consegnato al grezzo, indipendentemente dalle prestazioni e dalla sostenibilità dell’intero edificio
- LEED-EBOM, Operations & Maintenance, è un protocollo specifico per certificare la gestione in esercizio di un edificio esistente. LEED è l’unico sistema oltre a BREEAM a prevedere una certificazione di questo tipo, cioè a considerare il caso in cui non avvengano attività di costruzione o ristrutturazione
- LEED for Retail, è il sistema di certificazione di negozi, super e ipermercati, centri commerciali e punti vendita in genere, ristoranti e sportelli bancari. Poiché lo spazio vendita da certificare potrebbe non comprendere l’intero edificio, la certificazione retail può seguire due strade alternative di New Construction e Commercial Interiors
- LEED for Schools, è il protocollo specifico per il grado di scuole cosiddetto K-12, cioè da Kindergarten (la nostra scuola materna) fino alle scuole superiori (12th grade). Altre tipologie come ad esempio i campus universitari possono seguire questo standard oppure il più generale LEED-NC
- LEED for Healthcare, è il protocollo dedicato agli edifici ospedalieri e assistenziali, day hospital, residenze sanitarie e altre strutture di degenza
- LEED for Homes, questo protocollo per gli edifici residenziali low-rise (fino a quattro piani) è stato adattato per il mercato italiano dal Green Building Council Italia ed è disponibile con il nome GBC Home
- LEED for Neighborhood Development, LEED-ND, è il protocollo che certifica la progettazione e l’esecuzione di interi quartieri e non di un singolo edificio o porzioni di esso.
Come Accreditarsi Professionista LEED
L’organismo internazionale Green Building Certification Institute (GBCI) è l’unico ente che ha facoltà di accreditare i professionisti e comprende due livelli di abilitazione professionale, cosiddetti Green Associate (GA) e Accredited Professional (AP).
Il primo livello è volto a qualificare “…una solida ed aggiornata conoscenza dei fondamenti e della pratica dell’edilizia sostenibile”, mentre il secondo livello certifica “…un’esperienza specifica di un sistema di rating LEED.”
Per poter sostenere l’esame di secondo livello è necessario dimostrare di aver già partecipato ad un progetto LEED. L’esame di abilitazione consiste in un test a risposta multipla somministrato via computer presso centri autorizzati. Le sedi d’esame sono presenti in tutto il mondo e sono gestite dall’istituto internazionale di valutazione Prometric. In Italia sono presenti due centri autorizzati, a Milano e Roma.
Certificazione degli Edifici Mediante il Protocollo LEED
Il certificato è emesso unicamente dall’organismo GBCI, dopo aver verificato i “credits” richiesti. La verifica è documentale e tutta la documentazione deve essere necessariamente preparata in lingua inglese e caricata sulla piattaforma LEED-Online v3.
Approfondimenti
A cura di Ing. Luca Cotta Ramusino
Ciao Andrea,
sono d’accordo ma solo se si ha la possibilità di lavorare a “certi livelli”, con target elevati e naturalmente all’estero.
In questo periodo, in Italia, non ci riesce facilmente a trovare un incarico per una “banale” ristrutturazione figuriamoci una consulenza LEED o BREAM!
Sono daccordo per avere standard di qualita’, ma in Italia soprattutto, c’e’ poca informazione e come sempre quando le cose non sono obbligatorie e sanzionabili, si aggira l’ostacolo (perche’ molti cosi’ lo ritengono).
La mia idea sarebbe quella di promuovere una campagna di informazione che mostri ai consumatori quanto si potrebbe risparmiare nel tempo sulle bollette delle nostre utenze attraverso una progettazione intelligente che oseri definire “verde”.
E non perche’ io mi ritenga un ecologista, ma bensi’ perche’ credo profondamente che un approccio ingegneristico sostenibile sia una delle vie di uscita dalla crisi che attenaglia il nostro paese.
Abbiamo il clima migliore del mondo, ma no lo sfuttiamo.
Riconosco le problematiche economiche legate alla riqualificazione degli edifici esistenti come nella costruzione di nuovi, proporre ad una certa categoria di costruttori di raggiungere reali livelli di certificazione viene visto come un incremento di spesa insostenibile, lo stesso discorso vale, ancora troppo spesso, per i privati.
Come esperienza personale, lavorando sia nella zona di Milano che in Sardegna, posso dire che un altro aspetto importante che mi permette di attuare una progettazione di qualità è la sensibilità personale del singolo committente che può risultare più o meno disposto a percorrere soluzioni impiantistiche strutturali “innovative” (per lui).
L’ultimo aspetto che vorrei sottolineare è la sensibilità dei progettisti, ho infatti visto dilagare tra alcuni professionisti la moda della certificazione secondo il metodo CASACLIMA (citato nella tabella). Secondo il mio parere, questo tipo di certificazioni, in cui viene esaltato fino allo stremo aspetti come la tenuta stagna dell’edificio (con dispendio di energie economiche e di ore di lavoro), possono andar bene nei climi in cui sono stati concepiti; avere uno spiffero in casa a -10 gradi può essere fastidioso, ma non capisco quali vantaggi può portare in climi più miti.
Se questo lavoro non è poi supportato da uno sforzo ulteriore di sviluppare un efficiente sistema di ricambio meccanizzato dell’aria, il risultato si può riassumere in una sola parola: MUFFA.
Caro Andrea,
credo che hai perfettamente ragione, e sono d’accordo.
Io sono riuscito a seguire e successivamente prendere anche la qualifica di certificatore mbientale, ma qui al sud è molto diffcile inculcare questa mentalità, specie senza leggi nazionali e/o regionali che obbligano i privati e le amministrazioni ad avere comportamenti a favore dell’ambiente.
Grazie, ciao a presto
No non sono d’accordo, ma secondo me e sul prezzo di della manodopera e sul prezzo dei materiali, che bisogna cambiare.
Inoltre le certificazioni, dato che sono per legge obbligatorie, dovrebbero essere gratuite e ripeto sono un professionista quindi quello che dico va contro il mio guadagno.
Forse nel lungo periodo può avere un senso (d’altra parte anche Casaclima è iniziato piano ma poi ha preso il volo) e mi riferisco a LEED (anche se finora mi è parso elitario, per il fatto che lo si è applicato in gran parte su nuove costruzioni di dimensioni ingenti).
BREEAM infatti non è per niente conosciuto alle nostre latitudini (io ho avuto la fortuna di studiarlo nel 1997-’98 avendo frequentato un master in UK su questi temi).
Ciao Davide, le certificazione ambientali degli edifici sono volontarie e non obbligatorie.
A mio parere non sono tanto gli standard internazionali che fanno da riferimento alla competitività ma la qualità edilizia assunta come obiettivo progettuale confermato dalla conformità della realizzazione.
Per assurdo oggi, nel voler perseguire i riferimenti legislativi o gli standard fissati a priori si perde l’obiettivo prestazionale che deriva dalla conoscenza degli obiettivi di qualità che ci si propone e che possono quindi essere diversi a seconda delle condizioni poste dalla situazione ambientale e/o dalla tipologia funzionale.
Ciao a tutti, mi permetto una piccola aggiunta al mio articolo (Andrea non c’entra, eventuali errori sono imputabili solo a me).
I protocolli di sostenibilità che ho nominato sono 1) VOLONTARI e 2) MARKET-DRIVEN. Quindi è il committente che li chiede al progettista, quasi mai viceversa. Raramente un progettista si può presentare alla porta di un qualsiasi committente per convincerlo ad adottare LEED, BREEAM o altro.
Invece, il committente avvicina lo specialista perché DEVE poter esibire uno tra questi marchi di sostenibilità. Perché vuole attirare inquilini di un certo tipo, perché ha degli obblighi di Responsabilità Sociale d’Impresa (CSR), perché niente certificato significa niente finanziamento, per mille altri motivi… ma NESSUNO di questi è un requisito di legge.
Un esempio: se la Nestlé adottasse una politica ambientale che stabilisca che “tutte le sedi Nestlé nel mondo saranno certificate LEED”, allora il gioco è fatto, è il committente a richiedere servizi di un certo tipo.
Nestlé non è scelta a caso: Nestlé buildings worldwide go greener
Il punto quindi non è di far ingoiare a forza questi standard, perché sono e saranno i committenti a richiederli. Forse oggi in Italia scarseggiano committenti così, ma vi assicuro che non sono del tutto assenti.
Un immobiliarista che in Italia desideri affittare ad aziende americane farà poca strada senza certificazione LEED, idem se l’inquilino è inglese e manca il “bollino” BREEAM, e così via.
Al contrario, rendere obbligatoria per legge qualsiasi certificazione significa automaticamente aprire le cataratte delle “autocertificazioni in classe G” e dei certificati energetici a €59 su Groupon.
E il mio consiglio più in generale è di lasciar perdere il mercato residenziale. Troppi cani a dividersi un osso sempre più piccolo.
In bocca al lupo a tutti,
L.
Ciao Andrea,
ti dò un mio e forse inutile parere, sulla domanda di cui all’oggetto.
La competitività nell’edilizia sostenibile è un tema molto complesso e brevemente ti voglio comunicare una mia opinione.
Il costruire sostenibile è forse la sfida più grande che si confronta con l’innovazione.
Se innovazione, infatti, significa proporre il nuovo, ciò che ancora per me non esiste, modificare ciò che esiste in funzione di nuovi obiettivi e per ottenere nuovi risultati, trasferire saperi e soluzioni, allora innovare significa modificare il sistema di riferimento attuale che vede il settore delle costruzioni come massimo responsabile dei consumi di combustibili fossili, grande produttore di rifiuti non riutilizzabili e grande inquinatore.
Il tema dell’innovazione tecnologica ha un suo aspetto, per ora, alquanto teorico e una serie di riflessi operativi.
Il primo riguarda il significato stesso del termine e le diverse tipologie dell’innovazione, i secondi riguardano le modalità con le quali l’innovazione si è espressa nel territorio, dei diversi materiali e delle tecniche costruttive.
Per parlare seriamente del problema ci vorrebbe molto tempo e affrontare anche l’incognita dell’assemblabilità, sul reimpiego, il riutilizzo e riciclo dei materiali, la sostenibilità dei vari sistemi tecnologici ed infine il recupero.
Buongiorno Andrea,
leggo volentieri i tuoi invii che trovo, assieme agli approfondimenti eventuali, sempre interessanti.
Se devo rispondere allo domanda che poni alla fine di questo post, risponderei che non sono d’accordo e cercherò di spiegarti come la vedo.
Premetto che forse il nostro approccio intellettuale ci porta troppo spesso a ragionare come fossimo (ma forse lo siamo) un “provincia dell’impero”. Tutto quanto è esterofilo e anglosassone ci incuriosisce e gli diamo spesso più importanza di quello che è italiano.
Questo non significa ovviamente che deve passare il messaggio “italiano è meglio”, ma forse vale la pena riflettere se non valga la pena elaborare esperienze estere e formulare proposte convincenti e scientificamente interessanti, senza per questo prendere certificazioni straniere come indispensabili per fotografare il nostro patrimonio edilizio.
Credo che dovremmo valorizzare e implementare certificazioni che possano essere messe in relazione alle certificazioni inglesi e americane, trovando se proprio lo riteniamo indispensabile una sorta di comparabilità. Se poi gli americani o gli inglesi non riterranno di affittare immobili in Italia perché mancanti delle loro certificazioni non me ne farei un grande problema, credo sarebbe più interessante fare una grande campagna di sensibilizzazione per fare in modo che i nostri edifici siano energeticamente sostenibili.
Io trovo che non è mai competitivamente vantaggioso importare esperienze altrui in modo acritico; io penso che, come dicevo sopra, sarebbe utilissimo far tesoro delle esperienze altrui al fine di elaborare uno strumento equivalente alle due certificazioni anglosassoni.
Torno da qualche giorno a Londra e devo dire che passeggiando per le vie della città e negli hotel dove ho soggiornato non si percepisce una qualità abitativa come quella che si percepisce nel Tirolo (sia italiano che austriaco), doppi o tripli vetri finestre a tenuta non sembra ce ne siano molte.
Naturalmente non pretendo di esprimere una valutazione totalizzante ma semplicemente una sensazione.
Grazie delle sollecitazioni che ci sai dare di volta in volta.
Buon lavoro e a presto.
Nel Friuli Venezia Giulia la situazione è un po’ diversa: il protocollo VEA (Valutazione Energetico Ambientale) per nuove costruzioni e ristrutturazioni integrali di unità abitative e uffici E’ OBBLIGATORIO – attualmente VEA si è coordinato con ITACA; non solo, ma nella città di UDINE, oltre che VEA è OBBLIGATORIO anche Casaclima.
Come Ordine ingegneri si aveva proposto che l’obbligatorietà di una certificazione ambientale fosse posta a carico dell’edilizia pubblica o di edifici privati nel caso in cui questi fossero fruitori di particolari benefici pubblici (finanziamenti o altri benefit) e per il resto fosse volontaria. Il ragionamento sottostante a questa proposta era che, se con il tempo le abitazioni ATER (edilizia pubblica) fossero risultate in possesso di certificazioni ambientali, l’acquirente che si rivolgeva al mercato, trovandosi di fronte ad offerte prive di certificazione ambientale, avrebbe giudicato le stesse di qualità inferiore a quelle economico-popolari, spingendo di fatto i costruttori verso una certificazione con caratteristiche ambientali.
C’è però stata una spinta verso l’obbligatorietà della VEA, recepita dalla politica.
Ciao fare un domanda.
Sono un perito termotecnico, ho conseguito 2 anni fa l’abilitazione alla certificazione ambientale degli edifici col protocollo Itaca.
Cosa dovrei fare per essere certificatore LEED. In più come si parte per un lavoro di certificazione Leed ammesso che ci sia la richiesta? So della torre dell’ UNIPOL a Bologna certificata Leed e sò che i certificatori vennero direttamente dall’America a lavorare con ingegneri italiani, però il come si inizia questo lavoro è rimasto un mistero.
Vi è mai capitato di certificare Leed?
Ciao Domenico, gli edifici LEED certificati sono riassunti qui, nel LEED Project Directory
Se nella casella “Country” inserisci “IT” vedi tutti quelli italiani (ho appena controllato, sono 28 in tutto)
Gli edifici registrati (quindi in corso di certificazione) invece sono qui e sono 101.
Per accreditarsi LEED, le istruzioni sono qui:
In bocca al lupo.
L.
Ciao Andrea, e complimenti, per tutto.
Trovo il tuo sito a dir poco eccezionale e con rammarico non sempre leggo tutto per questioni di tempo.
Circa i sistemi di certificazione ambientale tuttavia, sono d’accordo fino a un certo punto.
Conosco entrambi e ho fatto il corso GBC Home. Torno da Londra dove sono stato a Ecobuild. Trovo sia il BREEAM che il LEED molto interessanti, ma credo che ciò che conti non sia il bollino, ma il contenuto. O meglio, da progettista ma soprattutto da cittadino, sono piuttosto avverso alla “brandizzazione” dei concetti chiave e dei valori.
Fare un edificio che risponde ai requisiti LEED, senza certificarlo e senza focalizzarsi sui “punteggi” credo sia un qualcosa che difenda noi progettisti ma anche i clienti, dall’insostenibilità della sostenibilità.
Il cittadino ha diritto ad un edificio sostenibile come concetto imprescindibile, non perché paga bollini, OVA ecc. Discorso diverso, ovviamente, per chi dal bollino trae prestigio, quello lo riconosco e lo condivido. Ma entriamo in un discorso più ampio, di appeal commerciale, di consumatore 3. 0, sempre più sensibile a certe dinamiche.
Il dovere morale e professionale di un buon progettista non è Best Practice (ben vengano! Ma sono le apripista), ma, credo, la casa “più leed possibile” per la Signora Maria.
Cordiali saluti
Ciao e grazie a te per l’interesse.
Sono d’accordo con quello che dici, sul fatto che ogni progettista dovrebbe progettare così a prescindere.
Ma credo che ognuno possa e debba farlo, anche senza fare spendere dei soldi in più per la certificazione (qualora non ce ne fosse bisogno).
Dall’altra però quando questi approcci vengono utilizzati e riconosciuti per accedere ad agevolazioni economiche piuttosto che a privilegi commerciali, ben vengano.
A presto e buona giornata!
Stefano, se sei tornato da EcoBuild dovresti esserti persuaso esattamente del contrario. Conta il bollino e non il contenuto.
Quando due soggetti non si conoscono, chiedono ad un terzo soggetto (imparziale, si spera) di garantire la bontà/legittimità/affidabilità di qualcosa. Per questo compriamo legno FSC, beviamo vino DOC e ci arrabbiamo quando all’estero cercano di vendere il “parmesan”.
Saluti,
L.